I Volti di Dio: il Mito della Divinità Bifronte tra Europa, Oriente ed Africa

Il Dio Giano è una delle divinità più importanti del pantheon romano, soprattutto di quello arcaico.
Spesso veniva evocato come “Pater” degli dèi, è noto per la sua principale caratteristica: l’essere bifronte, cioè dotato di due volti che guardano in direzione opposta. Giano era il dio delle porte e dei passaggi, dei crocevia, delle strade, dei confini. Il suo nome deriva dal termine Ianua, “porta”. Non viene generalmente considerata una divinità mutuata dal mondo greco ma di origine italica, probabilmente ispirato dal dio etrusco Culsans con cui condivide molti aspetti. Anche Culsans è bifronte e deriva dal termine Culs, che anche in etrusco significa “porta”. Per comprendere la spiritualità dell’antica Roma occorre comprendere il senso della divinità intrisa nel quotidiano che caratterizzava il mondo. Sembra impensabile per noi oggi un dio o un santo “delle porte”. A Roma tali elementi assumevano spesso dei significati simbolici: Giano Dio delle Porte, ovvero tutore del simbolo del passaggio; passaggio tra passato e futuro, tra natura e soprannaturale e soprattutto tra vita e morte. E Giano è infatti dotato di due facce che simbolicamente guardano ai lati opposti, una dentro al confine e una fuori, una al passato e una al futuro, una alla vita e una alla morte. Questo era tutto ciò che rappresentava la porta nell’antica Roma, incarnava tutti i tipi di “passaggio”, tutti gli “attraversamenti dei confini” simboleggiati dalle Due Facce che guardano dentro e fuori dal “limite”.
Volgendo lo sguardo altrove, notiamo in questa nostra esclusiva ricerca come in realtà esistano molti esempi di “Divinità Liminari” intese come tutrici dei limiti (fisici o astratti) e varie forme di Dèi Bifronti o Policefali in diverse aree e culture.

Culsans

Nel mondo etrusco Culsans non era l’unico dio bifronte. Una statuetta di bronzo custodita nel museo di Cortona infatti ritrae un’altra divinità etrusca bifronte, ovvero Turms, considerato simile a un Mercurio Etrusco. Come Mercurio, anche Turms era Dio dei viandanti e anch’esso tutore dei limiti e il suo nome potrebbe essere legato al Dio Terminus romano (usato anche come epiteto di Jupiter/Giove), anch’esso protettore dei confini e dei limiti, venerato nel Tempio di Giove Ottimo Massimo nel Campidoglio.
Nel mondo egizio troviamo ulteriori, interessanti parallelismi: anche il Dio Serapide, sincretizzazione ellenistica tra gli dèi Osiride e Api, è raffigurato bifronte e associato al passaggio verso l’Oltretomba, infatti viene spesso raffigurato in compagnia del Cane a Tre Teste (ancora una volta la policefalia assume significati escatologici) Cerbero.
Tra i Sumeri troviamo il dio Bifronte Isimud, Messaggero Divino come Hermes, tra le antiche popolazioni iraniche troviamo Mahrasean Bicefalo, nei Vedici indiani troviamo Agni e tra gli Igbo (attuale Nigeria) troviamo Ikenga, anche questi bifronti.

Erma greca in bronzo di Hermes


Nel mondo greco-italico troviamo inoltre due tipologie di bicefalia, una fisica (Giano/Culsans/Turms) e una invece astratta/figurativa. Esistono degli dèi che non erano descritti bicefali nella tradizione religiosa ma che vengono astrattamente raffigurati come bifronti in alcuni artefatti religiosi: parliamo delle Erme. Le erme erano dei cippi religiosi recanti volti di dèi utilizzati in Grecia che venivano posti lungo i crocevia, le strade o i confini (torna ancora il tema della “Liminarità”). In Grecia il dio classicamente raffigurato nei volti delle Erme era esclusivamente Hermes, da cui esse prendono il nome. A Roma invece le erme tutelari dei confini recavano diversi dèi: Giove, Terminus, Eracle, Dioniso e Silvano. È degno di interesse approfondire la varietà romana nel culto delle divinità liminari. Possediamo inoltre delle Doppie Erme, ovvero erme che recano due volti divini ai lati opposti (ecco il concetto astratto di “bifrontismo” nelle erme religiose). Possediamo Doppie Erme raffiguranti da un lato Mercurio e dell’altro Fauno ed altre raffiguranti da un lato Eracle e dall’altro Fauno. È interessante osservare la contrapposizione ideologico/mitologica di questi manufatti: le doppie erme da noi prese in esame raffigurano due divinità, o più ancestralmente due “Principi” opposti. Mercurio è rappresentato con lineamenti maestosi ed olimpici, Fauno con tratti “boschivi”, sfuggenti e maliziosi, razionalità contro irrazionalità, ancora una volta ad imprimere l’idea di una contrapposizione, dunque un concetto di “differenziazione”, demarcazione, limite.

Erma Bifronte romana di Ercole e Silvano

Ancor più mitologicamente interessante è la doppia erma di Eracle e Silvano del Museo del Teatro Romano di Verona. Eracle è come al solito rappresentato con barba e capelli corti, mentre dall’altro lato c’è un Silvano raffigurato con barba e capelli lunghi, in chiaro stile “dionisiaco”. A consegnare un fortissimo significato simbolico a questa doppia erma è il mito che lega Eracle e Fauno/Silvano (assunto che, per un lungo periodo almeno, queste due figure erano considerate la stessa divinità),questo mito: un giorno Fauno vide Eracle e la bella Onfale camminare nel bosco per poi recarsi a dormire in una grotta. Per gioco, Eracle ed Onfale si scambiarono i vestiti prima di coricarsi in letti diversi. Dunque Fauno, volendo possedere Onfale, entrò nella grotta e si insinuò nel letto in cui scorgeva gli abiti femminili della donna che erano però indossati da Ercole. Quindi Ercole, toccato da Fauno, si destò dal sonno scacciò via dal letto il dio boschivo che, umiliato, secondo la tradizione da quel giorno odia Ercole e i vestiti in generale che lo avevano tratto in inganno; decretando che i suoi cultori avrebbero dovuto venerarlo da nudi. Questo mito è estremamente significativo per l’interpretazione escatologica del culto degli Dèi Liminari. Ercole protettore del confine domestico, scaccia l’intruso Fauno proveniente dal bosco selvaggio, che si insinua nella casa e tenta di insidiare la donna. È una reiterazione della limitazione tra domestico e selvatico, natura e civiltà, razionalità e irrazionalità; tale è l’escatologia del mito: Ercole nella sua funzione di protettore della civiltà e della dimensione domestica contrapposto agli impulsi selvaggi di Fauno che dal bosco si insinua nella grotta e tenta di possedere Onfale. Anche questo mito raffigura un confine, un limite, e i volti di Ercole e Fauno nelle erme bifronti religiose rinvenute assumono un preciso significato: hanno funzione propiziatoria e invocano queste divinità liminari affinché mantengano l’integrità dei confini. È importante che Fauno/Silvano ed Ercole rimangano a tutelare ciascuno il proprio limite, è importante che questi due “princìpi” restino sempre contrapposti: bosco e civiltà, domestico e selvaggio, razionalità e protezione della dimora contro irrazionalità ed impulsi selvaggi.
Inoltre la figura di Silvano/Fauno è stata già stata analizzata in una nostra precedente ricerca esclusiva sulla leggenda folclorica appenninica del Serpente Succhialatte che prosciuga del latte i seni della puerpera lasciando il neonato privo di nutrimento, in cui si ravvedono chiaramente delle tracce del mito religioso di Fauno che si trasforma in serpente e si congiunge carnalmente a Bona Dea. Silvano era infatti noto per essere incarnazione dell’impulso selvatico e quindi nemico della civiltà e dell’atto civilizzatore per eccellenza: la procreazione, la nascita, evento su cui si fonda la civiltà umana.

Disegno di un’antica erma bifronte di Fauno e Silvano, Agostino Veneziano

Altrettanto degna di interesse è una tavola del 1569 realizzata da Agostino Veneziano e contenuta in un manuale dedicato alle collezioni iconografiche di arte antica scritto da Achille Stazio, che ritrae un’erma bifronte forse ritraente Fauno e Silvano: questa erma potrebbe tornare a raffigurare una contrapposizione tra due princìpi opposti, ma come abbiamo già scritto, generalmente Fauno e Silvano sono stati considerati lo stesso dio oppure dèi estremamente simili, dunque la contrapposizione sembra illogica. È forse più probabile che la doppia erma di Fauno e Silvano di Achille Stazio sia in realtà una rappresentazione dello stesso dio, dunque Fauno o Silvano Bifronte. Anche in altre erme viene raffigurato lo stesso dio bifronte (oltre a Giano): è il caso dell’erma bifronte di Sileno, anche lui raffigurante un “principio boschivo” come Fauno/Silvano, considerato anch’esso un dio degli impulsi selvaggi.
Se è vero, dunque, che le erme religiose sono una forte espressione del culto delle divinità liminari, è anche vero che gli dèi rappresentati in quelle erme devono essere le maggiori incarnazione di quei principi archetipici e di quei “limiti” che vengono trasfigurati in quegli oggetti sacri.

foto di un babalorixà di Oxaguian (il nome brasiliano di Osogiyan): i babalorixà nel culto candomblé sono dei fedeli che, travestendosi, praticando determinate danze e rituali, vengono posseduti e invasati dal loro dio tutore


Anche in altre parti del mondo troviamo degli elementi mitici in comune con il culto degli dèi liminari greco/italici. Nella tradizione Yoruba, in Africa occidentale, troviamo una divinità che ha forti elementi in comune con i “Liminari” europei ed è raffigurata con un concetto di policefalia e bifrontismo: Osogiyan. Secondo il mito Yoruba, Osogiyan è nato ingenerato all’interno del guscio di una lumaca e senza testa. Osogiyan ha vagato nel mondo in cerca di una testa fin quando ha incontrato Orì, il Dio protettore della testa e dell’energia spirituale contenuta nella testa, che realizzò per Osogiyan una bianca testa di igname (un tubero dolce africano). Ma la bianca testa di igname risultava troppo calda per Osogiyan, che ne soffriva molto e continuò a vagare in cerca di una nuova testa fin quando incontrò Iku, Dio della Morte, che realizzò per il viandante una testa nera fatta di impasto di sangue. Ma questa testa era fredda e concepiva solo cupi pensieri, quindi Osogiyan soffriva ancora. Alla fine incontrò Ogun, dio della forza e della guerra, che con un colpo di spada fuse le due teste in una sola, di colore blu, adesso in perfetta armonia tra caldo e freddo. In questo mito il simbolismo della bicefalia “gianiforme” è lampante, così come anche le connotazioni liminari di Osogiyan, che è considerato un dio viandante, legato ai percorsi, alle strade, confinante tra vita e morte, tra Orì e Iku. Altro aspetto gianiforme presente nel mito è la contrapposizione con Oxalufa: secondo alcune credenze della tradizione Yoruba (che non sono chiaramente fissate e sempre uguali), Osogiyan, raffigurato come un dio giovane, avrebbe un Doppio, Oxalufa, suo alter ego anziano. Osogiyan e Oxalufa sarebbero la stessa divinità, ora incarnazione giovane, ora incarnazione anziana.
Nella tradizione , lo stesso Osogiyan/Oxalufa sarebbe null’altro che un avatar, un’emanazione del dio supremo Obatala. Ancora una volta, in questi elementi culturali e mitici è evidente il simbolismo della bicefalia e della liminarità come tutore delle vie e dei “confini”.

Khepri, il Dio Scarabeo, tiene in mano la Chiave di Ankh o Croce Ansata: composta da un simbolo uterino (la “conca” superiore) e un simbolo fallico (la parte eretta inferiore): raffigurando l’archetipo elementare della Genesi Sessuale.

È assai degno di interesse inoltre il mitema che vede Osogiyan nato dal guscio di una lumaca, elemento che ritrova delle somiglianze in molti culti diversi. Nell’antico Egitto era il dio-scarabeo Khepri ad essere associato alla figura del “guscio”, inteso, come notava Alphonse Barb, non nel senso più letterale e specifico di un certo animale ma come in generale “conca” di plautina memoria. Nel 2007 l’archeologa Irene Iacopi scoprì, a pochi metri dal Foro Romano, un antico tempio che si crede essere dedicato a Fauno Luperco: la volta del tempio sotterraneo (caso abbastanza raro, forse connesso proprio al concetto di ventre femminile ed utero, come ipotizzato anche dallo stesso Barb), si mostra costellata di conchiglie di mare, altro riferimento al simbolismo uterino. Nella mitologia greca, il titano Tifone, dio delle forze distruttrici sotterranee e degli eventi tellurici e geologici estremi (dunque ancora associato a un principio irrazionale/selvatico ancestrale non molto diverso da quello di Fauno/Silvano), figlio e marito della dèa-serpente Echidna, è spesso raffigurato mentre soffia nel guscio di un mollusco. Sempre nella mitologia greca è la famosa Afrodite, come raffigurato anche da Botticelli, ad essere nata da una conchiglia, elemento a cui poi è stata frequentemente associata. Afrodite che condivide alcuni aspetti fortemente in comune con un’altra dea della tradizione Yoruba, Yemajà, anch’essa nata dalla spuma del mare; e con Oshun, dea della bellezza e della fertilità che soprattutto nei culti afrodiscendenti in America (come gli afroamericani Santeria cubana e Candomblé brasiliano) è sincretizzata con la Madonna. Secondo il mito Oshun è nata dalle acque del fiume, mentre Afrodite dal mare, comunque esiste una forte somiglianza simbolica. E a dir la verità tale somiglianza è generale tra tutti gli dèi greco-romani e quelli Yoruba, le due tradizioni teologiche mostrano moltissimi punti in comune e strettissime somiglianze: Oshossi, dio della caccia Yoruba, molto simile ad Apollo/Diana; Shango, dio del tuono molto simile a Zeus; Oya, dea terrestre e tellurica simile a Era/Gea.

San Giorgio e il Drago, Paolo Uccello, 1460. Come Eracle salva Onfale dall’aggressione di Fauno, San Giorgio salva la Dama dal Drago, che rappresenta lo stesso Principio Oscuro e Incivile di Fauno.

Esistono inoltre numerose sincretizzazioni tra figure Yoruba/afrobrasiliane Candomblé e cristiane: Ogun molto simile a San Giorgio oltre ad avere affinità con Marte, dio della guerra, e Vulcano, in quanto come lui Ogun è un dio fabbro e siderurgico.

Antiche simbologie e sigilli che rimandano al concetto di Divino Utero, tra cui la forma della spirale elicoidale e la lumaca, contenuti in Diva Matrix di A. Barb

Nel suo saggio Diva Matrix, Alphonse Barb traccia la figura di un Divine Womb, Divino Utero, simboleggiato in modi molto simili in diverse culture.
Come Osogiyan, Khepri e Afrodite, anche la dea caldea Omorka è legata alla simbologia della conchiglia e in generale, sia nelle culture europee che in quelle orientali, la “conca” è sempre stata ritenuta un simbolo sacro perché associata all’archetipo dell’Utero: conca come “elemento femminile”, simbolo generatore, “principio penetrato” (termine che abbiamo già utilizzato nella nostra precedente ricerca La Madonna e il Serpente). Ad un principio penetrato deve contrapporsi necessariamente un principio penetratore, al simbolo della conca deve dunque congiungersi necessariamente il simbolo del fallo. Tutti i “principi penetratori” maschili sono rappresentati da simboli fallici: Ercole viene sempre rappresentato con una grossa clava, Silvano viene sempre associato al Pino Silvestre, Fauno è narrato come serpente che penetra Bona Dea (da cui deriva la leggenda appenninica del Serpente Succhialatte che si attacca alle mammelle delle puerpere), Mercurio simboleggiato dal bastone Caduceo con due serpenti attorcigliati e troneggiato da due ali. Anche Osogiyan è incarnato da un suo oggetto sacro: il pestello per frantumare gli alimenti. Associato a questo oggetto a causa della sua passione nel pestare l’igname, un altro oggetto sacro a Osogiyan è il mortaio, cioè il recipiente in cui gli alimenti vengono frantumati dal pestello. È evidente in questo caso l’associazione sessuale tra pestello come fallo e mortaio come conca. E’ interessante che anche nella tradizione tibetana, lontanissima dall’Africa, il pestello (“Vajra”) assuma funzioni rituali e magico-religiose.

Alcuni oggetti rituali sacri ad Osogiyan, tra cui il pestello inserito nel mortaio

L’elemento femminile si contrappone continuamente all’elemento maschile. Un’altra peculiarità ricorrente altrove del dio Osogiyan è il suo essere nato senza testa. Non è la prima volta che vediamo un culto simile: infatti nei così detti Papiri Magici Greci, 96-172, leggiamo il Rituale del Senza Testa. Un’invocazione, di natura ebraico/ellenistica, a un misterioso Dio Senza Testa, l’Akephalos, contiene anche una parte in cui l’evocante si definisce “un cuore circondato da un serpente”.

“Ti invoco, Senza Testa, che hai creato la terra e il cielo, che hai creato la notte e il giorno. […]
Io sono il Favore dell’Aion; il mio nome è un cuore circondato da un serpente.”

Torna dunque ancora una volta il simbolo maschile (serpente) contrapposto, avvolto intorno a un elemento che assume dunque una funzione femminile, il cuore.
Ma la cosa che desta più interesse è dedurre se tali straordinarie somiglianze tra culti diversi e lontani tra di loro sia frutto di un soffuso processo di contaminazione culturale oppure se si tratti di quelli che i psicologi chiamerebbero simbolismi universali, ovvero elementi ricorrenti in molte culture spontaneamente generati da archetipi naturali, non connessi tra di loro. Di certo in tutta l’area del bacino Mediterraneo una forte contaminazione culturale è esistita, collegando l’Italia ai Caldei, l’Egitto alla Grecia.
Non abbiamo sufficienti notizie sulla connessione culturale tra Bacino Mediterraneo e Africa Nera, la patria di Osogiyan, ma sappiamo per certo che i greci e i romani fecero molte spedizioni oltre il Sahara, sia verso il Nilo che verso il fiume Niger. È molto probabile che siano avvenute contaminazioni tra Mediterraneo e Subsahara attraverso le rotte egizie, mettendo a contatto il mondo mediterraneo con quello Yoruba e sincretizzando le reciproche divinità che si manifestano con forti somiglianze. Sappiamo che molti filosofi greci trascorsero del tempo a studiare presso i sacerdoti del profondo Egitto, Plutarco nel De Iside et Osiride racconta che Pitagora, Talete, Eudosso, Platone e Licurgo di Sparta compirono dei viaggi in Egitto per formarsi presso i sacerdoti. I romani nelle loro spedizioni commerciali ed esplorative nel Subsahara arrivarono quasi a toccare il golfo di Guinea a sud ovest, oltrepassando l’ansa del fiume Niger (dunque toccando i territori Yoruba); mentre a sud est percorsero al contrario il Nilo fino all’attuale Repubblica Democratica del Congo o forse addirittura all’attuale Uganda. Pur non conoscendone precisamente la reale entità, è verosimilmente plausibile che si siano stabiliti dei canali di comunicazione tra Mediterraneo e Subsahara attraverso la Via del Nilo e la Via del Niger. Come già accennato, i culti Yoruba sono in seguito stati trasportati nelle colonie americane attraverso la Tratta degli Schiavi; sono presenti infatti forti elementi Yoruba, spesso persino in forma pura e intatta, nelle religioni afrobrasiliane e afrocubane Candomblé, Umbanda e Santeria, portando con loro il loro carico di antiche, probabili sincretizzazioni Mediterranee.

Bes a Nove Facce, British Museum

Tornando alla ricerca del Bifrontismo degli Dèi, troviamo un altra divinità egizia che è stata spesso assimilata a Giano, ovvero il dio Bes, nano con la testa di leone, anch’esso con caratteristiche di dio liminare, protettore del mondo domestico e della fertilità. Lo stesso Bes che, a rimarcare ancora una volta la sovrapposizione dello stesso Principio, è ritratto in diverse statuette di era romana, sincretizzato col greco Sileno e forse anche col romano Silvano (Petar Selem, “Izidin trag: egipatski kultni spomenici u rimskom Iliriku”, 1997, pag 92-93). In un’antica statuetta rituale egizia, Bes viene raffigurato con 9 facce. È spontaneo il parallelismo tra le 9 facce di Bes e le 9 teste dell’Idra di Lerna sconfitta da Ercole. Il mito delle 12 Fatiche di Ercole e quasi completamente da interpretare in senso escatologico e ricco di elementi sessuali primordiali: dai due pitoni strangolati dall’eroe in fasce all’ultima fatica rappresentata dal furto dei Pomi dal Giardino delle misteriose Esperidi che vivevano nell’estremo ovest dove va a tramontare il Sole, considerata un’allegoria della sconfitta della morte e della conquista della vita eterna. Anche la sconfitta dell’Idra di Lerna si mostra allegorica, con Ercole che ancora una volta, come sempre, interpreta un “protettore” del mondo civile contrapposto alle forze ataviche di un mondo fatto di creature mostruose e terrificanti, come l’Idra. E ancora, per l’ennesima volta sembra di essere di fronte all’ennesimo elemento sessuale: l’Idra di Lerna, un mostro con nove teste di serpente, non è altro che un elemento femminile (il busto/utero) contornato da elementi maschili (i serpenti/falli); ennesima trasfigurazione di quella Genesi, ancestrale congiunzione tra Maschio e Femmina, insita nei Culti Liminari. Nella ricerca “Diva Matrix” di Alphonse Barb si accenna alla possibile interpretazione escatologica di un altro mito greco, quello della Gorgone Medusa. Dotata di serpenti al posto di capelli sulla sua testa, anche questa raffigurazione parrebbe ritrarre il medesimo simbolismo sessuale: serpenti/falli che circondano la testa di una donna.

Anche il mito di Perseo è connotato da una fortissima allegoria escatologica: l’Eroe deve recarsi nel Paese della Notte nell’estremo ovest del mondo, dove tramonta il sole (molte similitudini con il paese delle Esperidi visitato da Ercole), luogo simbolico di morte, per affrontare le tre sorelle Gorgoniche Steno, Euriale e Medusa, che rappresentano ciascuna una forma di perversione: Steno la perversione sessuale, Euriale la perversione morale e Medusa la perversione Intellettuale. Per trovarle, Perseo deve estorcere il modo di raggiungere il Paese della Notte alle tre sorelle Graie, raffigurate come anzianissime e putrescenti donne, che a loro volta rappresentano le tre forme di decadimento: fisico, morale e intellettuale. Una volta trovate le Gorgoni, Perseo non può affrontarle senza rimanere a sua volta coinvolto, pietrificato, nella loro morte e perversione; perciò deve servirsi dello specchio consegnatogli da Atena col quale, alla fine, Medusa incrocia il suo stesso sguardo e resta a sua volta pietrificata. In questo mito è forte l’allegoria: se guardassimo la perversione negli occhi ne resteremmo pietrificati, perciò occorre sconfiggerla combattendola indirettamente, tramite uno “specchio”. Lo scrive anche Dante nel XI Canto dell’Inferno nella Divina Commedia, quando si trova di fronte alle Mura di Dite e si imbatte nelle Gorgoni:

“Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso;ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi,nulla sarebbe di tornar mai suso”. Così disse ’l maestro; ed elli stessimi volse, e non si tenne a le mie mani,che con le sue ancor non mi chiudessi. O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ‘l velame de li versi strani.”

“Perseo con Testa di Medusa” di Benvenuto Cellini, 1545

L’avventura di Perseo non è altro che l’allegoria di un viaggio nella morte e indietro, tra decadimento e perversione, e in questo senso Perseo incarna un principio fortemente liminare: è colui che ha oltrepassato il confine dell’umano verso un paese oscuro e mostruoso; concettualmente non dissimile da Eracle quando sconfigge l’Idra o quando scaccia il selvatico Fauno intruso notturno nel letto di Onfale.

Calco della Testa di Fauno, di Michelangelo (1489). L’originale è stata trafugata dal Museo del Bargello di Firenze nel 1944, nel corso della II Guerra Mondiale e mai più ritrovata.

Altri elementi liminari si riscontrano nei miti di Orfeo ed Euridice, con Orfeo che si reca nell’Ade nel tentativo poi fallito di riportare l’amata in superficie; nel mito di Bellerofonte che sconfigge la mostruosa Chimera cavalcando il cavallo alato Pegaso, la creatura più bella e pura dell’universo nata dal sangue di Medusa, che era l’incarnazione dell’oscurità e della perversione- a sottolineare ancor di più il messaggio parabolico e liminare di come si possano varcare i confini della tenebra per giungere alla Purezza; e in quello, anch’esso fortemente escatologico, di Giasone e gli Argonauti, che si lanciano alla ricerca del Vello d’Oro attraverso paesi sconosciuti e mostruosi draghi, arpie e sirene, anche stavolta simboleggiando una parabola di discesa e risalita dal Noto all’Ignoto, attraverso il confine tra Vita e Morte. Non a caso, secondo il mito, Orfeo ed Eracle erano entrambi Argonauti partecipanti alla Cerca di Giasone. Elementi fortemente liminari presenti anche nell’Odissea, che è propriamente una narrazione di continue parabole nell’ignoto, e in generale in tutti i Miti Parabolici e tutte le Cerche: il Ciclo Arturiano, il Guerrin Moschino di Andrea del Barberino a cui, come osservato da Giulio Aristide Sartorio, solo successivamente si ispirò il ciclo del Tannhauser Wagneriano; e persino la storia di Gesù Cristo, col Messia che resuscita la figlia morta di Giairo pronunciando “Talitha Kumi” e in seguito sconfigge Egli stesso la morte, resuscitando nella Pasqua. E non di meno ai giorni nostri, anche nel mondo criminale, si continua a basare la mitopoiesi (produzione di miti) sugli stessi archetipi parabolici ricorrenti, come abbiamo largamente osservato nella nostra ricerca esclusiva sulla mitopoiesi e mitologia nel crimine e nelle sètte. Il Culto Liminare è, dunque, in ogni mito che trasfiguri una parabola che si snoda attraverso un confine, che sia fisico, morale o allegorico/escatologico. E in tutti i culti liminari vediamo sovrapposti e sincretizzati gli stessi Principi, quello Maschile e quello Femminile e quello Razionale Domestico su quello Irrazionale Selvatico. L’Idra e Medusa sono due Mostri Fallo-Uterini, cioè composti da elementi simbolici maschili e femminili (conca-utero e serpente-fallo); come lo è anche Fauno che, come vediamo ne La Madonna e il Serpente, si trasforma in serpente per penetrare Bona Dea, reiterando i culti sulle Dee Serpenti italiche preromane come Angizia o protoromane come appunto Bona Dea. Il Mostro Fallo-Uterino, Medusa, Idra, Bes a Nove Facce, Fauno/Dea Serpente, che si mostra sempre come antagonista ed opposto del Volto Civile del Dio Liminare: Ercole che uccide Idra e scaccia Fauno, Perseo che uccide Medusa. È la Parabola del Culto Bifronte, ovvero il Volto Protettore Domestico (Ercole e Perseo) che prevale sul Volto Selvatico e Perverso (Medusa, Idra, Fauno) rappresentato come serpentiforme; la Vita e la Civiltà che prevalgono sulla Morte e sulla Selva.

Echidna, “Madre dei Mostri”, scultura nel Sacro Bosco di Bomarzo (Viterbo)

L’elemento selvatico, serpentiforme dunque falliforme, potrebbe anche raffigurare il Caos sessuale e la rottura del tabù dell’incesto endogamico: molte divinità serpenti, come la greca Echidna “Mater Monstrorum” metà donna e metà serpente, sono raffigurate come incestuose, mogli dei loro figli e madri dei propri fratelli. Echidna generò col titano Tifone l’Idra, il Cerbero, la Chimera e il Drago Ladone, che faceva da guardia al Giardino dei Pomi delle Esperidi e che fu ucciso da Ercole (tutti personaggi di cui abbiamo trattato), col suo stesso figlio Ortro generò la Sfinge. L’antagonismo tra i due elementi può assumere un significato tribale ancestrale: il Protettore Civile Domestico che prevale sul Mostro Fallo-Uterino Selvatico e Trasgressore del tabù sessuale dell’endogamia.

E si mostri particolare interesse verso quelle connessioni o contaminazioni misteriose che non sono state sufficientemente approfondite dagli studi accademici ma che sembrano disegnare una grande area Mediterraneo-Orientale-Subsahariana di profonda comunicazione culturale, espressa nella produzione di miti ed elementi parabolici e liminari flagrantemente somiglianti.

-Nicolò Rinaldi di Federico

Lascia un commento

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora